Sui generis: storia di una violenza psicologica in una relazione gay

Sui generis: storia di una violenza psicologica in una relazione gay

Più trascorreva il tempo più mi sentivo esclusa. Mi teneva fuori. Diceva: “Ho scelto, ho comprato, ho preso”. Invece erano cose che avevamo fatto noi due insieme. Questa esclusione non riuscivo più a tollerarla. Stavo male, piangevo e mi isolavo sempre più. Il dover tenere tutto dentro e non poterne parlare con nessuno, mi logorava giorno dopo giorno.

GRETA

Oggi è la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia 2023, giornata in cui si è deciso di rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Ma non vi parlerò di questo. Questo voleva essere solo un omaggio alla celebrazione.

“Sui Generis” vi racconterà di una donna che è stata vittima di violenza psicologica da parte di un’altra donna. Sfatiamo questo mito: non solo i maschi etero violentano, ahimè anche le donne. È uno stereotipo credere che non ci sia violenza nelle coppie dello stesso sesso. Di contro ne viene che se una società non vede e riconosce l’omosessualità, non ne riconosce neanche la violenza che esiste. Tutto diventa invisibile. La coppia lesbica si costruisce su dettami eteronormati che possono portare al possesso, alla gelosia per poi sfociare nei soliti meccanismi di potere, del controllo psicologico e fisico. Il modello patriarcale si costruisce anche all’interno di una coppia lesbica. E questo è quello che mi ha raccontato Greta in una lunga telefonata.

Ciao Greta, vuoi parlarmi di te?

Ciao Francesca, grazie per l’opportunità che mi hai dato. Sono Greta e sono una una creativa. Ho 36 anni e non avrei mai pensato di ritrovarmi qui a parlare di “vittima di violenza psicologica” da parte della mia ex compagna.

Ho diverse passioni: tutto ciò che riguarda la grafica, il lavoro che faccio mi gratifica e mi appassiona, mi piace l’arte, la musica, i concerti, la fotografia, camminare, passeggiare ed esplorare. 

Ti va di raccontarmi la tua storia?

Ho conosciuto la mia ex compagna ad una serata in un locale estivo della mia città, nell’agosto 2020 qualche giorno prima di ripartire per la città in cui vivevo. Mi piaceva tanto da chiedere alle mie amiche se la conoscessero. Mi informai, la cercai su Instagram e le scrissi per invitarla a bere un caffè il giorno stesso perché l’indomani sarei partita per poi ritornare a dicembre. Abbiamo iniziato poi a sentirci frequentemente non solo tramite messaggi ma anche tramite chiamate e videochiamate. La cosa iniziò a diventare più assidua tanto che ad un certo punto lei si auto-invitò nella città doveva vivevo, per conoscerci di persona. Prese un volo per Bologna e al suo arrivo, nonostante non ci fossimo ancora conosciute di persona, mi guardò, sorrise e mi baciò. Trascorremmo dei giorni insieme a casa mia e sembrava una persona interessante ma dopo qualche giorno, ritornò nella sua città. Dopo qualche settimana mi disse che non sarebbe riuscita a sopportare una relazione a distanza e che avremmo dovuto trovare una soluzione se avessi voluto continuare questa storia. Eravamo in piena pandemia e la sua attività non era ancora del tutto chiusa, motivo per cui, fino ad ottobre 2020 lei, si divideva tra casa mia e casa sua. Eravamo in una relazione. Quando l’allora presidente del consiglio Conte chiuse per un lungo periodo la categoria della sua attività commerciale, decidemmo insieme di viverci maggiormente e si traferì a casa mia, con il suo cane, in un’altra regione.

Quei mesi furono fantastici: aveva così tante attenzioni nei miei confronti che mi piaceva, mi sentivo amata. 

Restammo da me fino al 1° marzo giorno in cui, mi trasferì definitivamente nella mia città d’origine per vivere la nostra storia. Fu lei a propormelo perché una storia a distanza non la sopportava. Scelsi così di mandare cv fin quando non fui assunta presso un’azienda dove lavoro tutt’ora.

Convivevate nel mentre? E dove?

Dal 27 febbraio 2021 convivevamo a casa sua e per me era tutto nuovo: soprattutto convivere con una donna nella mia città d’origine. Casa sua era in un palazzo all’interno del quale viveva tutta la sua famiglia e la sua attività commerciale era adiacente. Una totale immersione nel suo mondo. All’inizio mi faceva piacere, mi sentivo parte di quel mondo senza sapere cosa sarebbe successo di lì a poco. Più stavo con lei, più mi accorgevo che c’era qualcosa che non andava, non riuscivo a capire come lei fosse.  

Iniziammo la convivenza ed ero felice di vivere nella mia città per la vicinanza alla famiglia e alle amiche. Però era ancora periodo di pandemia e alcune amiche non volevano incontrarsi tutte insieme (il mio gruppo di amici è numeroso). Nessuno quindi conosceva ancora la mia ex compagna. Purtroppo non riuscivamo mai ad incastrarci per vederci e lei pensava di essere antipatica a tutti, motivo per cui iniziò a mal sopportare le mie amiche, non trovava feeling, argomenti di discussione, ed era una lotta ogni volta uscire con le mie amiche.

E tu come la vivevi?

Io la vivevo male perché dovevo dividermi tra lei e le mie amiche a cui tenevo e tengo. Non me la vivevo bene, cercavo sempre un modo per invitarla a parlare con loro e a superare le sue convinzioni ma lei era chiusa e faceva di tutto per inventare scuse e non farmele incontrare.

Lei era accusatoria o giudicante nei confronti delle tue amiche?

Sì. 

E non uscivi da sola con le tue amiche, senza di lei?

È capitato ma molto velocemente perché quelle poche volte che uscivo con le mie amiche aveva sempre una scusa per litigare o pretesti per farmi rientrare a casa. E se le facevo notare che i suoi erano pretesti, ovviamente smentiva.

Questo valeva anche per il lavoro: non voleva che partecipassi alle fiere fuori regione perché non poteva venire con me come io facevo con lei che andavo dopo lavoro a trovarla nella sua attività.

Ti andrebbe di raccontare un episodio in particolare per far capire ai nostri lettori quello che accadeva se uscivi con qualcun*?

Durante le vacanze natalizie avevo piacere di bermi un drink con una mia ex nonché amica. Quando la informo di questo, chiedendole anche se per lei sarebbe andata bene (quasi a chiederle il permesso) lei non era d’accordo (ovviamente non lo diceva esplicitamente). Scoprì dopo che quel giorno fece il test di gravidanza, magari ve lo racconterò dopo, e non mi disse nulla. Mi intossicò quell’incontro: mi chiamò interrottamente fin quando non mi tenne per circa un’ora al telefono minacciando di raggiungermi, di parlare al telefono con la mia ex, faceva di tutto per tenermi agganciata al telefono, impedendomi di parlare con l’altra persona e pretendendo che rientrassi a casa. E per disperazione mollai la mia ex e rientrai a casa.

Quando hai iniziato ad avere il sospetto che fossi vittima di violenza psicologica?

È stata una consapevolezza lunga e maturata nel tempo, man mano aggiungevo tasselli. 

L’alert mi era partito con un tradimento da parte sua, pochi mesi dopo la nostra relazione. Lei accampava scuse dicendo che ero cambiata (a 5 mesi dalla relazione) e che ero stata io a portarla a farmi questo.

Un altro tassello è stato l’allontanamento dalla mia famiglia: durante la relazione io, pur stando nella stessa città, li ho vissuti pochissimo. Non voleva neanche che mi facessi comprare un detersivo da mia madre. Lei frequentava ogni giorno i suoi genitori e con lei anche io, ogni domenica, cosa che non accadeva al contrario. Accampava sempre scuse per non vederli (doveva portare il cane in campagna, non le piaceva stare seduta a tavola..) e quando mi recavo da sola da miei, si arrabbiava o mi cercava per sottrarmi da quella situazione e fare in modo che la raggiungessi subito.

Insomma, facendola passare come una mia scelta, mi aveva allontanata dalla mia famiglia e dai miei amici. 

Ti va di raccontarci della gravidanza a cui accennavi prima?

Dal primo giorno che ci siamo conosciute, mi ha sempre detto che avrebbe voluto un figlio. Mi ha sempre chiesto che ne pensassi e ho condiviso con lei che mi sarebbe piaciuto avere una famiglia. Detto ciò, dopo circa un anno di relazione, mi disse che desiderava un figlio ma solo tramite un rapporto sessuale con un uomo. 

Un giorno, iniziò a frequentare la sua attività commerciale, un ragazzo della nostra età, che ci provò con la mia ex compagna invitandola a bere qualcosa. Per lei era perfetto, non era della nostra regione, non sapeva nulla di lei, né della sua attività e neanche della sua omosessualità. Me ne parlò sin da subito precisando di non avere nessun interesse nei suoi confronti ma che avrebbe iniziato a frequentarlo e fare sesso con lui per riuscire ad avere un figlio, senza però informarlo a riguardo.

E tu?

Io non credevo fosse capace di una cosa del genere, ero titubante sul non dirgli nulla ma per amore e per la famiglia che avremmo avuto, accettai. Iniziarono ad uscire insieme, ad avere rapporti sessuali e io aspettavo a casa fino a quando rientrava dopo essere stata con lui anche, alle tre di notte. Il primo giorno che uscì con questo ragazzo, lei mi fece andare a cena dalla madre perché ero l’unica con la quale potevo parlare di quanto stava accadendo. La mia faccia in quei giorni era triste, ero devastata. Nessuno ovviamente doveva e poteva saper nulla.

Come ti sentivi quando lei faceva sesso con un’altra persona? 

Io non stavo bene. Provavo a non pensarci, pensavo al futuro ma stavo male. Immaginavo il bello di quello che sarebbe accaduto. In quei giorni le promisi che non le avrei mai chiesto nulla a riguardo e che mi avrebbe parlato lei, se ne avesse avuto voglia. Mi disse soltanto: “È successo, ma proverò fino a quando non sentirò di essere incinta”. E non mi disse più nulla. Ti lascio immaginare come era la nostra relazione, io cercavo di avvicinarmi a lei ma non riuscivo liberamente anche perché lei non era presente, non ho bei ricordi di quel periodo. Lei a un certo punto gli comunicò anche che aveva una relazione aperta con una donna in modo tale che se fosse rimasta incinta, lui non avrebbe potuto rivendicare il diritto alla paternità.

Riesci a descrivere come ti sentivi?

Mi sentivo in una relazione che non faceva parte del mio essere e che ero vittima di queste sue manipolazioni, accettavo solo per amore senza immaginare cosa sarebbe successo dopo.  

Quindi voi sognavate questa famiglia insieme come due mamme? Giusto? 

No, queste cose poi man mano sono venute fuori. 

Facciamo un passo indietro. Come ti ha detto che era incinta?

Lei fece il test di gravidanza esattamente il giorno in cui uscì a bere qualcosa con la mia ex. Rientrando a casa si arrabbiò furiosamente e mi disse:

“Questo era il motivo per cui volevo che rientrassi a casa e tu NEANCHE questo hai fatto.
Sono incinta”.

Mi fece sentire una merda e in colpa. Era palese che l’aveva fatto apposta.

E tu hai gioito alla notizia?

C’era un piccolo sentimento positivo ma quelli a seguire sono stati giorni lunghi in cui in cui era palese la sua incazzatura. Dopo più di una settimana ci siamo avvicinate perché le ho suggerito di recarsi da un ginecologo (pur se presto come tempi perché si era agitata in quel periodo e mi ero preoccupata). E così è stato. 

In tutto questo si continua a mantenere il segreto, neanche questo ragazzo doveva essere informato del fatto che sarebbe diventato padre e la motivazione non risiedeva di certo nel fatto che avrebbe voluto una famiglia con me. 

La ginecologa le disse che questa gravidanza non sarebbe andata a termine e le consigliò l’aborto. Per questo motivo girò tre ginecologi fin quando non trovò un dottore che le consigliò di non abortire. Io ho vissuto con lei tutto il periodo peggiore di questa gravidanza e ho cercato in tutti i modi di sostenerla in questo percorso. Durante tutte queste visite, io l’accompagnavo, non solo fisicamente.

In qualità di?

Era una domanda che non avevo ancora fatto ma ero convinta di essere anche io la mamma di quest* bambin*. Condividevamo le decisioni sugli acquisti, parlavamo di futuro.

Quando avete iniziato a parlare del bambin*? Ti considerava mamma quanto lei?

No. È qui che è nato il problema. Io mi sentivo di essere parte della famiglia. Mentre la gravidanza procedeva si parlava sempre più… mi disse che odiava i titoli e l’unico titolo che approvava era quello che le apparteneva in quanto mamma biologica.

“La mamma sono io e tu sei Greta, l’amica della mamma.”

Ti sentivi esclusa?

Sì. Più trascorreva il tempo più mi sentivo esclusa. Mi teneva fuori. Diceva: “Ho scelto, ho comprato, ho preso”. Invece erano cose fatte insieme. E questa esclusione non riuscivo più a tollerarla. Stavo male, piangevo e mi isolavo sempre più. Il dover tenere tutto dentro e non poterne parlare con nessuno, mi logorava giorno dopo giorno.

La tua famiglia che ruolo ricopriva? Ne era a conoscenza? 

Fino ad un certo punto. I miei sapevano che era incinta ma ho espressamente richiesto loro di non avanzare domande a riguardo e che un giorno ne avrei parlato. E hanno rispettato questa scelta ma erano ovviamente preoccupati per me perché mi vedevano spenta. 

Quindi ovviamente tu eri completamente vittima di questi meccanismi manipolatori, ricatti emotivi che aveva nei tuoi confronti?

II tutto è durato la bellezza di otto mesi, prima di riuscire a chiudere questa relazione.

Come sei riuscita capire che dovevi uscire da questa storia e come l’hai fatto?

Intanto ogni giorno notavo sempre più l’uso della prima persona singolare nella coppia. Il “noi” non esisteva più. Non esisteva più un bacio e non sapeva darmi spiegazioni in merito.

Come immaginava il futuro?

Secondo lei, lei è la mamma e quindi tutte le decisioni importanti avrebbero dovuto essere prese solo da lei, avrebbe potuto anche confrontarsi con me ma le decisioni sarebbero state le sue. Anche all’asilo, avrei avuto una delega come amica della mamma.

Al 7° mese di gravidanza, lei mise la prima storia su Instagram. Il papà del bambin* attese mesi senza chiederle nulla (dopo aver visto la storia) e quando ritornò nella città in cui lavorava, la chiese se avrebbe dovuto sapere qualcosa. E lei iniziò a preoccuparsi. Lo incontrò di persona e lui le chiese apertamente se fosse il padre ma lei non si sentì in dovere di dirgli nulla vista la relazione aperta di cui sopra. Lui si rese comunque disponibile, nel caso in cui fosse venuto fuori che il figlio era suo. Per lei questa frase fu una salvezza.

Lui iniziò a cercarla più frequentemente perché sentiva che era suo figlio, tanto da parlarne anche con sua madre. 

Come hai vissuto questo periodo? 

Io non sapevo più come agire in questi mesi. Ero bloccata.
Mi sentivo una fallita per tutto quello a cui avevo rinunciato per lei.

Ma più passava il tempo e più mi sentivo sempre più fuori da questa situazione e non sapevo bene come agire. Mi sentivo soltanto una presenza. Provai a parlargliene ma lei faceva leva sul fatto che io avessi sempre saputo tutto dall’inizio. Era più preoccupata di dover dare delle risposte future sul padre biologico anziché su di me. Ero diventata una fantasma.

C’è stata una goccia che ha fatto traboccare il vaso o è stato un percorso di consapevolezza che poi ti ha portato ad allontanarla?

È stato un percorso di consapevolezza, mettevo insieme i pezzi di un puzzle, giorno dopo giorno. 

Quindi possiamo anche dire che ti sei sentita svalutata come persona?

Non solo, mi aveva screditato come donna e compagna. Per non parlare della mia vita privata fatta di affetti che non avevo più per equilibrare il mio rapporto con lei.

Riuscivate ad avere una relazione intima?

No, per questioni anche legate alla gravidanza. Il ginecologo le aveva detto di non avere rapporti sessuali per tutta la gravidanza. 

Dove ti ha portato questa consapevolezza? Come sei riuscita ad uscirne? 

Un allontanamento graduale che mi ha portato a non farcela più. E sono esplosa. Ogni giorno io le chiedevo in questa situazione che ruolo avessi e chi fossi (non volevo essere di certo una babysitter) avendo una storia e dopo aver vissuto tutto insieme, siamo esseri umani fatti di sentimenti. Premevo nel voler capire che cosa ci facesse ancora con me. Il bambino stava per nascere e non sapevo più chi fossi. Le avevo chiesto di farmi uscire da tutto (casa sua, ecc) prima che arrivasse il bambin*.

È stato faticoso uscirne?

Sì, perché ho investito tanto, quello che avevo immaginato e che stavo quasi per raggiungere, si è rivelato un castello di sabbia. 

Ritieni che sia stata in una relazione tossica?

Assolutamente sì, su tutti i fronti. 

Come ti sei spiegata che sia stata proprio una donna a farti violenza psicologica? 

Non me lo sarei mai aspettato da una donna, tra l’altro una ragazza che fa parte della nostra generazione. La sua idea di relazione, apparterrebbe al Medioevo. 

Si è presa tutto il mio spazio, le amiche, tutte le persone a cui ero legata affettivamente e appena ho intravisto uno spiraglio di luce, di libertà, sono scappata. Mi sentivo chiusa in una scatola buia e non mi riconoscevo più.

Sei stata in terapia?

Ci sono stata in terapia e mi ha aiutato a liberarmi da questo tutto questo in cui ho parlato e sofferto solo con me stessa e non potevo parlare con nessuno.

Che consiglio ti senti di dare a chi vorrebbe uscire da una relazione tossica ma non riesce? 

Che i segnali sono importanti. Lo so che è difficile capirli ma una persona che riesce a farti vedere tanto sin da subito, tanto da farti dire “Wow” non è da sottovalutare. Con me ad esempio, dopo qualche giorno di relazione, condivideva tutto e ciò che era mio era anche suo.

Questi segni si vedono fin dall’inizio, a meno che non si è accecati e non si vuole vederli.  

E per uscirne come si fa? Che consiglio ti senti di dare? 

Cogliere i segnali e chiedere aiuto, imparare a parlare. Stare attenti a questo tipo di atteggiamento manipolatorio. Ma riconosco che è facile parlarne.

E tu di che genere sei? 

Sono un genere esplosivo. Esplodo di vita e libertà.

Vuoi aggiungere qualcosa?

W la figa enigmatica del trittico di Otto Dix! Scherzo 🙂

Francesca Sorge

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