
Sanremo 2025: grazie, ma no grazie
Sanremo per me è l’evento dell’anno, un programma televisivo semplicemente imperdibile che rimane al centro delle conversazioni con amici, colleghi e conoscenti. Non è sempre stato così: quando ero bambina e poi adolescente pensavo che il Festival della canzone italiana fosse “roba per anziani”. D’altronde andava e va in onda su Rai1, la capofila delle reti generaliste del servizio pubblico, e io invece concepivo Mtv come unico e solo canale televisivo dove poter “guardare” e ovviamente ascoltare la musica.
Poi negli anni milanesi è successo che alcuni miei amici fossero gli addetti stampa degli artisti in gara e dovessero per questo seguire la kermesse. Sono nate in questo modo le nostre serate sanremesi: il mio amico dell’ufficio stampa dei cantanti ci invitava a casa sua dove cenavamo insieme e guardavamo Sanremo redigendo le nostre pagelle e dando voti su canzoni, performance/staging, outfit e trucco e parrucco. Da allora, anche se non viviamo più tutti nella stessa città, continuiamo a condividere pensieri e parole in chat su Sanremo.
Nelle prime due puntate di questa settantacinquesima edizione condotta da Carlo Conti ci sono scelte che ho trovato interessanti e altre che non ho apprezzato.
Cose che non ho capito
- La regia mostra il backstage. È ovvio che gli strumenti non camminano da soli per arrivare al parco; lo sappiamo che ci sono tanti attrezzisti, tecnici e assistenti di produzione che lavorano nei programmi televisivi per fare in modo che tutto si trovi al posto giusto nel momento giusto. Ma dobbiamo proprio vederlo? Nella televisione classica la regia stringe il campo su un primo piano o un piano americano dei conduttori per nascondere agli spettatori il lavoro di cambio scena. In questo Sanremo invece vediamo tutto. Carlo Conti sale in galleria e vediamo la sua soggettiva sul palco, un totalone con tutti dentro. Non trovo questa scelta registica sbagliata tout court, ma penso che farlo nel day-time può essere accettabile, in prima serata su Rai1 durante il programma/evento dell’anno no.
- L’inquadratura rubata degli artisti appena annunciati. Sempre nell’ottica dello svelamento del retroscena un attimo prima che il cantante salga sul palco lo vediamo per un attimo nel backstage. Ma che bisogno c’è di fare lo spoiler degli outfit?
- Gerry Scotti. Non l’ho trovato convincente e mi è sembrato che volesse fare il simpatico a tutti i costi senza raggiungere il risultato sperato: far ridere.
Cose belle
- L’apertura del Festival di Sanremo. È con un omaggio a Ezio Bosso, musicista scomparso recentemente, che si apre la prima puntata. «La musica è come la vita e si può fare solo in un modo: insieme» aveva detto Bosso nel 2016 quando conquistò l’Ariston sulle note di Following a bird. Un’apertura poetica, universale e commovente.
- Damiano David canta Felicità per ricordare Lucio Dalla. Sul palco con lui Alessandro Borghi e un bambino, il nipote Vittorio Bonvicini, che, forse un po’ imbarazzato, si commuove al termine della canzone. L’esibizione è stata emozionante.
- La versione strumentale di un brano spesso sanremese ad accompagnare l’entrata degli artisti. i conduttori annunciano i cantanti che salgono sul palco dell’Ariston sulle note di una loro canzone arrangiata in “stile Bridgerton”. Per esempio i The Kolors entrano su Italo Disco.
- Tutta l’Italia. Il jingle firmato da Gabry Ponte è convincente, martellante e memorabile.
- Nino Frassica. Entra in scena con i capelli che scimmiottano Malgioglio – solo che i colori sono invertiti (il ciuffo è nero su capigliatura bianca) – e già so che riuscirà a farmi ridere.
Non mi resta che concludere con l’artista che mi ha convinta di più: Lucio Corsi. Io tifo per lui!
Valeria de Bari
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