Ho rinunciato a Verona, la città che mi ha dato tutto

Ho rinunciato a Verona, la città che mi ha dato tutto

“Rimpatriati”: la storia di Letizia

Si è fermato il mondo nel momento più bello della mia vita. A novembre ho scoperto di essere incinta, a dicembre ho avuto l’indeterminato: due notizie stupende che non ho potuto condividere con i miei genitori. Dentro di me si è fatta largo una sensazione di smarrimento e il pensiero che prima o poi sarei dovuta tornare. Ho sentito proprio il bisogno di avere la mia famiglia vicina a me.

Letizia

Letizia è una ragazza entusiasta. Mentre parla della sua vita con voce squillante e allegra sorride con la bocca, con gli occhi e col cuore.

La felicità, l’entusiasmo e l’euforia che la contraddistinguono sono tangibili fin dalla prima domanda.

Ti va di presentarti?

Mi chiamo Letizia, ho 35 anni e faccio l’educatrice. 

Fare questo lavoro è stato sempre il mio sogno. La passione per i bambini mi ha portata a iscrivermi alla laurea in Scienze dell’educazione e formazione. 

Come mai sei andata via dalla tua città di origine?

Quando mi sono ritrovata con l’attestato di laurea in mano mi sono detta: “E ora? Che faccio?”. In quel momento ho deciso di aprirmi ad altre possibilità. Volevo avere delle alternative, un piano B e ho quindi percorso altre strade.

Sia per una sfida personale sia per avvicinarmi al mio attuale marito mi sono trasferita a Bologna dove ho frequentato la Specialistica in Progettazione e gestione del disagio sociale

Infatti mentre frequentavo la triennale ho conosciuto Andrea e abbiamo iniziato una relazione a distanza. Lui è di origini siciliane ed era iscritto alla scuola di formazione di OSS a Rovereto. Ci siamo conosciuti grazie a degli amici in comune che studiavano in Trentino. All’epoca era facile vedersi perché con le compagnie low cost trovavamo i biglietti a sei euroooo (ride nrd). 

Comunque per una concatenazione di eventi, per un desiderio personale di evasione e cambiamento e per avere Andrea vicino mi sono detta: “ok parto!”. 

E sei arrivata a Bologna…

Mi sono trasferita a Bologna, sì. Io non amavo stare in Trentino, quindi ho scelto di andare in Emilia-Romagna. Tanto eravamo a due ore di distanza, quindi nel weekend con un paio d’ore di treno ero da lui. 

Com’è stato vivere a Bologna?

Bologna è stata una delle esperienze più belle della mia vita. Al di là dell’Università che mi ha aperto un mondo è proprio la città che ti offre mille possibilità su vari fronti.

Bologna è la patria della diversità e ti permette di rapportarti con delle persone che mai avresti pensato di incontrare, di incrociare, perché sono molto lontane dal tuo modo di essere e dalla sfera delle tue amicizie. Ho superato i miei limiti e mi sono liberata di alcuni pregiudizi che, purtroppo, avevo.

A Bologna se ti passa davanti una persona con un outfit eccentrico non ti fermi a dire: “Ma come è vestito quello?”, anzi non ci fai più neanche caso a certe stranezze e la gente si sente libera di essere se stessa. A Bologna poi non ci si annoia mai. Infatti bisogna stare attenti a non perdersi, a focalizzarsi sul raggiungimento degli obiettivi, sennò si rischia di non laurearsi più. Io mi dovevo imporre di stare sui libri e di dare esami, perché i diversivi erano tanti.

La Specialistica poi mi ha permesso di accedere a mondi diversi da quello dell’infanzia: la disabilità, la tossicodipendenza, le case protette per le donne vittime di violenza. Ho vissuto delle esperienze fortissime perché per ogni esame che davo facevo il tirocinio sul campo. Per esempio ho frequentato proprio una casa protetta prendendomi cura delle donne vittime di tratta al mattino e dei loro figli nel pomeriggio, una volta tornati da scuola. Mi è toccato anche andare in tribunale a sentire la testimonianza di una donna che accusava il suo protettore di averla obbligata a prostituirsi ed è stata un’esperienza toccante e devastante. Con la Specialistica mi sono chiarita le idee, perché ho capito cosa non volevo fare. Certi giorni mi portavo a casa un carico emotivo insostenibile. Ho fatto anche la tesi sulla resilienza, perché l’impatto con certe realtà toste è stato fortissimo.

Bologna è stata una palestra di vita a 360 gradi sia dal punto di vista personale, sia da quello formativo e professionale.

A Bologna hai capito che il tuo sogno era sempre lavorare con i bambini?

Sì, i bambini per me erano una ventata d’aria fresca dopo una mattinata molto pesante con le donne. Mi immedesimavo talmente tanto che stavo male, mi portavo a casa le loro storie e ci rimuginavo sopra. L’unica utenza per me sono i bambini: quello che ti danno a livello umano è impagabile. Ti accolgono sempre col sorriso, con un abbraccio e ti riscaldano il cuore.

Dopo Bologna cosa succede?

Succede che io e Andrea decidiamo di andare a convivere a Rovereto. Ormai stavamo insieme da tre anni, io mi ero laureata in tempi record, lui aveva finito la scuola di formazione e lavorava in ospedale (aveva vinto un concorso a tempo indeterminato).

Ti è toccato andare in Trentino.

Sì ho seguito il cuore. Ho trovato lavoro come educatrice e ho vissuto un’esperienza professionale negativa, perché non andavo d’accordo con la coordinatrice, che dava filo da torcere a tutte. Ho lavorato due anni e mezzo nel privato con contratti che si interrompevano nel mese di Agosto e per le vacanze di Natale, non assicurando così continuità retributiva. Puntualmente dovevo richiedere la Naspi. Non avevo nessuna stabilità.

Appena ho avuto la possibilità di fare concorsi ho partecipato alle selezioni pubbliche. Ho superato il concorso a Mantova, un mese prima che scoppiasse il Covid.

Nello stesso periodo Andrea ha vinto una domanda di mobilità a Verona e, come saprai, Verona e Mantova sono vicinissime. Ci siamo trasferiti in Veneto alla fine del 2019.

Com’è andata a Verona?

Qui sono successe le cose più importanti della mia vita: abbiamo deciso di sposarci, abbiamo comprato casa, abbiamo avuto nostra figlia Gaia nel 2021, ho firmato il contratto a tempo indeterminato. A Verona siamo legatissimi.

Direi che Verona ti ha portato fortuna...

Sì, un pezzo di cuore rimarrà sempre lì.

Mentre Bologna è legata alla me più sbarazzina ed è stata determinante per la mia apertura mentale, Verona rappresenta gli affetti più importanti e il raggiungimento della stabilità. Io amo Verona e ogni volta che torno sento un pugno allo stomaco.

Come hai maturato l’idea di tornare?

Il patto con Andrea, quando abbiamo scelto di tornare a “casa”, era che l’avremmo fatto se e solo se entrambi avessimo avuto un posto nel pubblico a tempo indeterminato. 

Coma mai?

Il settore professionale degli educatori professionali come ti ho anticipato è un po’ particolare; o hai la fortuna di entrare nel pubblico e avere così tutele e garanzie oppure rimani nel privato dove molti diritti non vengono rispettati. Ci sono persone che ci pensano due volte anche ad avere una gravidanza, perché potrebbero perdere il lavoro. Se un giorno ti svegli con la febbre ci pensi due volte a prendere un giorno di malattia e preferisci imbottirti di paracetamolo. Anche gli stipendi nel privato sono poco appetibili e spesso la retribuzione arriva in ritardo.

Quando io e Andrea abbiamo avuto entrambi un lavoro a tempo indeterminato abbiamo deciso di tonare.

Ma a Verona stavate bene, no?!

Sì ma sentivo la mancanza della famiglia. Considera che ho passato l’intera gravidanza di Gaia da sola, mia madre l’ho vista che ero al nono mese. Era scoppiata la seconda ondata di Covid e non ci si poteva spostare da una regione all’altra. Anche la notizia che ero incinta l’ho dovuta dare telefonicamente: è stata un’esperienza forte.

Si è fermato il mondo nel momento più bello della mia vita. A novembre ho scoperto di essere incinta, a dicembre ho avuto l’indeterminato: due notizie stupende che non ho potuto condividere con i miei genitori. Dentro di me si è fatta largo una sensazione di smarrimento e il pensiero che prima o poi sarei dovuta tornare. Ho sentito proprio il bisogno di avere la mia famiglia vicina a me.

Più Gaia cresceva, più aumentavano i problemi logistici e organizzativi, più ho pensato di non farcela materialmente, nonostante mio padre arrivasse subito ogni volta che gli chiedevo di venire a Verona.

Al di là della questione organizzativa poi ho realizzato che mi stavo perdendo troppo della mia famiglia e dalla pancia è partito il desiderio di tornare. Le mie esperienze le avevo fatte, avevo vissuto non so quante vite tra Bologna, il Trentino, Verona e Mantova… era arrivato il momento di rimpatriare.

Quando sei tornata e come è stato il rientro?

Sono tornata a luglio del 2022 e l’impatto è stato forte.

A livello lavorativo ho trovato una situazione molto diversa dal punto di vista organizzativo da quella a cui ero abituata. Per esempio a Mantova avevamo un budget per comprare cancelleria, giochi e materiale di recupero. I pannolini, gli asciugamani, le creme erano fornite dal comune. C’era una lavatrice che era utilizzata per lavare le divise; la cucina era interna. Qui no.

Però ho la mia famiglia vicino e questo è impagabile. Io sono cresciuta come se fossi stata in Un medico in famiglia. Eravamo sempre a casa di nonna. Ogni scusa era buona per festeggiare tutti insieme (compleanni, onomastici, ricorrenze varie). La domenica si facevano tavolate numerose. Sono felice che Gaia possa crescere vicino ai nonni, a mia sorella, in questo clima di gioia e di caldo amore.

In questo momento Bari per me è tutto: non andrei mai più via dalla mia città, quella che considero casa. Quando sono partita ero in un momento particolare della mia vita, in cui non apprezzavo ciò che avevo. Oggi sono una persona diversa.
C’è una poesia di Francisco Luis Bernárdez che spiega il mio vissuto:

“Se per riavere quello che ho perduto, pur di riaverlo, perderlo ho dovuto. Se per giungere a ciò che ho conquistato ciò che non sopportavo ho sopportato. Se per sentirmi adesso innamorata, prima ho dovuto essere ferita. Accetto tutto quello che ho patito e gioisco del pianto che ho versato… perché dal nostro vivere ho imparato che non si gode di ciò che si è ottenuto, se per averlo non si è combattuto, perché dal nostro vivere ho capito che l’armonia di un albero fiorito è nella terra che lo ha generato”

Valeria de Bari

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